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Posted by on Dic 20, 2012 in Poesia, Vette della poesia illuminata |

Rabindranath Tagore

Rabindranath Tagore è stato il primo autore non occidentale a essere insignito del premio Nobel letterario nel 1913. Egli fu uno scrittore, poeta e filosofo indiano di alta spiritualità e per gran parte delle sue opere possiamo constatare l’esigenza di riconciliare la tradizione culturale indiana con quella occidentale e cristiana. Il pensiero che sta alla base di tutta la sua opera affonda le sue radici essenzialmente nelle Upanishad; egli vede in ogni manifestazione della natura la permanenza immutabile di Dio e quindi l’identità tra l’assoluto e il relativo, tra l’essenza di ogni uomo e quella dell’universo. Come tutti i mistici di tutte le religione ed epoche egli invita a cercare e scoprire il significato dell’esistenza nella riconciliazione con l’universale, con l’Essere supremo attraverso l’introspezione, la contemplazione e meditazione, in modo di giungere all’esperienza diretta ed inequivocabile del divino, all’essenza stessa di ogni cosa.

Gesù forse non disse, “il Regno dei cieli è dentro di voi” ? Maometto forse non disse “chi conosce se stesso conosce Allah”?

Quella che segue è una poesia che esprime l’estasi, la gioia dello yoga (in sanscrito = unione) con l’Essere supremo, in termini moderni la realizzazione del Sé, l’incontro con il vero Volto dell’esistenza.

Mi hai fatto senza fine

questa è la tua volontà.

Questo fragile vaso

continuamente tu vuoti

continuamente lo riempi

di vita sempre nuova.

Questo piccolo flauto di canna

hai portato per valli e colline

attraverso esso hai soffiato

melodie eternamente nuove.

Quando mi sfiorano le tue mani immortali

questo piccolo cuore si perde

in una gioia senza confini

e

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canta melodie ineffabili.

Su queste piccole mani

scendono i tuoi doni infiniti.

Passano le età, e tu continui a versare,

e ancora cӏ spazio da riempire.

Già fin dall’inizio l’uomo è creato per scoprire, il suo segreto, la sua eternità – è volontà del Creatore che la Sua immagine infinita si rifletta in noi. Il fragile vaso di cui disponiamo, la nostra forma umana in tutti i suoi aspetti passa attraverso morti e rinascite sempre nuove sostenuta dal potere divino che dona la Vita.

Nello stato di Grazia che l’autore descrive questo vaso fragile diventa un piccolo flauto di canna vuoto al suo interno (consapevolezza senza pensieri, senza desideri) e in quale il divino soffia la musica della creazione e dell’evoluzione la quale può riflettersi ora nel mondo fisico in forme ed esperienze sempre nuove.

Nella terza e ultima strofa Tagore esprime l’estasi e la Gioia della realizzazione nello scoprire l’immagine di Dio nel suo cuore, quell’immagine che è il suo stesso volto. Completamente ricettivo all’energia dell’universo egli accoglie tra le proprie mani i suoi doni infiniti: la pace, la creatività, l’amore, l’innocenza, la pura conoscenza e saggezza

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passano le ere e questo gioco divino sembra non avere fine tanto è grande lo spazio senza fine che giace nel nostro cuore. In questo momento, nell’eterno presente la riconciliazione tra Assoluto e relativo, lo scopo di tutta l’esistenza avviene e tutto è armonia.